Il coraggio di essere se stessi: il ben-essere come nutrimento autentico

Pubblicato il 16 luglio 2025 alle ore 10:15

"Essere se stessi non è un atto isolato, ma un modo di abitare il mondo, di parlare, di camminare, persino di scegliere cosa mettere nel piatto. Se il benessere è davvero ‘ben-essere’, allora il primo passo non è cosa mangiamo, ma chi siamo mentre mangiamo."

Quando parliamo di benessere, spesso pensiamo a salute fisica, alimentazione corretta, equilibrio tra lavoro e riposo. Ma forse dovremmo chiederci qualcosa di più radicale:
come stiamo come esseri umani, oggi?

Ci serve un’idea di benessere che vada oltre le soluzioni individuali. Che unisca conoscenza, empatia e responsabilità. Che ci aiuti a costruire una cultura in grado di salvaguardare noi stessi e il mondo che abitiamo.

Essere se stessi: un atto di empatia verso di sé

In un tempo che ci vuole performanti, adattabili e in continua corsa, essere se stessi è un gesto rivoluzionario.
Non significa imporsi, ma imparare ad ascoltarsi senza giudizio, ad accettare la propria sensibilità, i propri limiti, il proprio sentire.
Significa sviluppare un’empatia vera verso noi stessi, senza la quale è impossibile coltivare un’autentica empatia verso gli altri.

E questa empatia, questo rispetto per la nostra verità interiore, si riflette anche nelle nostre scelte alimentari. Perché il cibo non è solo nutrimento biologico: è anche linguaggio, relazione, identità.

Cibo e autenticità: nutrirsi come gesto di presenza

Mangiare non è mai un gesto solo fisico. Può essere un atto di fuga, di punizione, di compensazione.
Oppure può diventare un atto di cura profonda.
Ma per farlo serve tempo, ascolto, consapevolezza.
Serve libertà da modelli esterni e un ritorno a ciò che davvero ci nutre: in corpo e coscienza.

Essere se stessi anche a tavola significa:

  • scegliere con rispetto,

  • accettare ciò che si sente davvero,

  • non tradire il corpo per aderire a un’immagine.

Corpo, mente e comunità: un benessere che coinvolge tutto

Le neuroscienze e la medicina psicosomatica ci ricordano quanto siano connessi mente, corpo, emozioni e ambiente.
Il nostro intestino comunica con il cervello. Il microbiota influenza il nostro umore.
Una dieta ricca, varia, vegetale e consapevole può sostenere non solo la salute fisica, ma anche quella mentale ed emotiva.

Ma c’è di più: la cultura della cura che pratichiamo su noi stessi è anche quella che diffondiamo.
Non si tratta più solo di “mangiare bene”, ma di vivere bene insieme.
Prendersi cura del proprio benessere è un atto di responsabilità sociale.
Serve una nuova alfabetizzazione emotiva e alimentare. Serve una cultura empatica.

Per una nuova ecologia dell’essere umano

La sfida non è solo individuale.
Viviamo in un tempo fragile, segnato da crisi ambientali, sociali, sanitarie.
Prendersi cura dell’essere umano come specie richiede più di soluzioni tecniche: richiede una cultura profonda del sentire, un nuovo modo di pensare la salute, la nutrizione, la convivenza.

Ci servono conoscenza, empatia, responsabilità.
Serve un’educazione che ci insegni a riconoscerci nel nostro corpo, nella nostra mente, nei nostri bisogni profondi.
E serve il coraggio di non accontentarsi più di benesseri parziali, estetici, vendibili.

Conclusione

Forse ben-essere significa prima di tutto riconnettersi:
con se stessi, con gli altri, con ciò che ci nutre davvero.
Non è una risposta definitiva. È una domanda che accompagna.
Ma forse, proprio lì, in quella domanda viva, si apre una possibilità nuova.

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Commenti

Federico Papalia
un mese fa

Mi piace molto il tuo pensiero e sono molto sintonia con questo sentimento.
Io sono sempre stato di questa idea infatti in quest' epoca molto "tecnica" ed "utilitaristica" bisognerebbe riscoprire il valore della filosofia e poiché il progresso non dipende dalla tecnologia, come purtroppo si pensa oggi come in epoche passate che hanno portato alla crisi della civiltà, ma dalla coscienza umana e la crescita della consapevolezza.
Nei tempi antichi lo stile di vita era sinonimo di equilibrio con tutto l'ambiente e se stessi, sia a livello di salute fisica sia come coscienza spirituale ed era vivo nella filosofia.
Ippocrate aveva ipotizzato che la salute dipendesse dall'equilibrio dei 4 umori interni che poteva essere mantenuto grazie alla nutrizione, concetto non solo ideologico o spirituale ma molto più concreto visto che approcciava con un metodo eziologico ed empirico.
Platone e Socrate lo concepivano nella totalità dell'essere dove la moderazione non è solo medicina per l'individuo ma anche come valore di vita nella comunità e una vita spartana portava non solo al rafforzamento fisico ma anche mentale con la ricerca dell'essenziale.
In Pitagora la moderazione ed il vegetarianismo erano una forma di rispetto per lo spirito della natura e degli animali.
Il cibo fa parte anche dell'identità, della cultura, delle emozioni e degli sforzi fatti per adattarsi e vivere bene nella nostra terra.
Cose che purtroppo sono andate a perdersi nel tempo visto che oggi ci affidiamo ad un tipo di filosofia molto asettica e razionalizzata dove l'industria pretende di risolvere tutti i problemi ed in modo immediato.
Il consumatore per pigrizia e l'industria con lo scopo di "capitalizzare" ogni cosa.
Sono anche io dell'idea che lo stile di vita sia profondamente connesso con il mondo che viviamo e che "dovremmo prenderci cura dell’essere umano, una cultura profonda del sentire, un nuovo modo di pensare la salute, la nutrizione, la convivenza.
Ci servono conoscenza, empatia, responsabilità" e che per vivere bene bisognerebbe imparare non solo ad imparare a curare se stessi e accettare i propri reali bisogni ma anche ad essere più uniti alle emozioni degli altri e vivere questo benessere insieme.

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