Il Prezzo della Salute: Perché il Cibo "Buono" è Sempre Più Lontano

Pubblicato il 27 maggio 2025 alle ore 16:45

Un tempo, il cibo era semplicemente... cibo.
Non c’era bisogno di certificazioni, etichette che rassicurassero sull’assenza di pesticidi, o di slogan pubblicitari che esaltassero l’autenticità di un prodotto. Gli alimenti erano coltivati secondo ritmi naturali, privi di sofisticazioni, e rispecchiavano un legame genuino con la terra.
Oggi, invece, per avere accesso a un cibo che sia davvero sano e privo di sostanze nocive, siamo costretti a pagare di più.
Il cibo vero, nutriente, rispettoso della salute e dell’ambiente, è diventato un privilegio economico. E questo rappresenta un fallimento sistemico che non possiamo ignorare.

Un sistema che premia il compromesso, non la qualità

Oggi i prodotti più economici e accessibili sono spesso quelli ultraprocessati, ricchi di additivi, zuccheri nascosti, esaltatori di sapidità, coloranti e conservanti.
Si tratta di soluzioni industriali, spesso formulate più per garantire margini di profitto e lunga conservazione, che per nutrire davvero.
Nel frattempo, chi desidera acquistare alimenti biologici, locali o coltivati in modo etico, si ritrova di fronte a prezzi più elevati e una disponibilità ridotta.
Ma non dovrebbe essere il contrario?
Non dovrebbe essere il cibo sano la norma, e non l’eccezione?

Supermercati sempre più artificiali

Oggi basta osservare gli scaffali di un supermercato per rendersene conto: la maggioranza dei prodotti presenta liste ingredienti complesse, spesso difficili da interpretare.
Quel che una volta conteneva tre semplici ingredienti – farina, acqua, sale – ora può arrivare a contenerne venti.
Nel frattempo, i prodotti biologici o “puliti” occupano angoli marginali, con etichette che sembrano più avvisi di esclusività che indicatori di normalità.

Il paradosso invisibile: i coadiuvanti tecnologici che non trovi in etichetta

Un altro aspetto inquietante riguarda l'uso dei coadiuvanti tecnologici. Sono sostanze impiegate durante la lavorazione degli alimenti — per chiarificare, filtrare, stabilizzare o sbiancare — che non compaiono in etichetta perché si presume vengano eliminate prima del confezionamento.

Purtroppo, questa è spesso solo una teoria.

Alcuni esempi di coadiuvanti usati industrialmente:

  • Idrossido di ammonio, usato per ridurre l’acidità in alcuni prodotti carnei, è la stessa sostanza impiegata nei detergenti domestici.

  • Carbone attivo e resine sintetiche, usati per decolorare oli, che possono rilasciare residui indesiderati.

  • Cloro e suoi derivati, impiegati per lavaggi di frutta secca o prodotti vegetali, con possibili residui tossici.

  • Disinfettanti a base di perossido o ozono, utilizzati in acque e succhi, che possono lasciare sottoprodotti potenzialmente cancerogeni.

  • Agenti schiumogeni o antischiuma, comuni in dolci e surrogati del latte.

Questi coadiuvanti, pur essendo spesso tossici, sono una zona grigia regolatoria che lascia il consumatore all’oscuro.
Così, mentre leggiamo ingredienti e additivi per evitare il peggio, nessuno ci dice cosa è stato usato durante la lavorazione, e spesso ancora è presente nel cibo che mangiamo.

La normalizzazione del rischio alimentare

Il paradosso più grave è questo: abbiamo normalizzato la presenza del “veleno” nella nostra alimentazione.
Abbiamo accettato l’idea che l’agricoltura debba necessariamente fare ricorso a pesticidi, che gli animali vengano allevati in condizioni intensive, e che il cibo debba essere processato per essere competitivo sul mercato.
Eppure sappiamo bene che il prezzo reale lo paghiamo in termini di salute pubblica, ambientale ed economica a lungo termine.

Una consapevolezza crescente, ma ancora insufficiente

Certo, è possibile fare scelte più consapevoli.
Acquistare in modo oculato, ridurre gli sprechi, pianificare i pasti con attenzione, valorizzare il cibo: tutti questi sono strumenti preziosi per avvicinarsi a un’alimentazione più sana, anche con un budget limitato.
Ma non possiamo far finta che ciò basti.
Per molte famiglie, il problema non è solo come spendere i soldi, ma avere i soldi da spendere.
E se il cibo sano resta fuori dalla portata economica della maggioranza, allora il sistema è profondamente iniquo.

Conclusione: è tempo di ripensare alle priorità

Il cibo non dovrebbe essere un privilegio, né tantomeno una minaccia.
Un sistema alimentare giusto ed equo dovrebbe garantire a tutti l’accesso ad alimenti sani, sicuri e sostenibili, senza che questo comporti sacrifici economici o scelte obbligate verso la quantità a discapito della qualità.
È giunto il momento di rimettere al centro la salute, l’ambiente e la dignità del consumatore, e di chiedere con fermezza che il “cibo vero” non sia più un lusso, ma semplicemente... cibo.

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